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giovedì 3 gennaio 2013

Male necessario romanzo straordinario


“Male necessario”, un romanzo affascinante che attraversa il tempo e lo spazio in un viaggio alla fine del quale  il lettore cambierà la percezione del bene e del male. Per leggere l’anteprima o per acquistare ecco il link:  http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=906090

domenica 21 agosto 2011

L'uccisore di bambini ( romanzo ) episodio 8

Prima di andare all’obitorio il commissario passò a prendere in Porta Venezia il suo vice. Il tenente, infatti aveva fuso il motore della sua bellissima Peugeot 206 cabrio. Lo vide smanettare dentro il motore con uno straccio in mano e la nube di fumo bianco che lentamente stava dissolvendosi non lasciava spazio ad altre spiegazioni.
-          Mario, ciao. La vedo grigia. -
-          Sicuro, capo?-
-          Sento puzzo di gomma bruciata. Sono le guarnizioni della testata-
-          Ci vuole buttare un occhio lei?
-          No, no.  Non sono mica un meccanico-
-          Ok, allora chiamo il carro attrezzi e andiamo-
Il tenente veniva da una famiglia della borghesia buona della Milano bene. A differenza di quelli del suo ambiente amava essere pienamente inserito nel tessuto sociale della società. Ricchissimo in modo da far schifo, aveva scelto una certa normalità cercando in quel ruolo di rendersi utile agli altri. Fin da piccolo lo avevano affascinato i poliziotti come i mitici “Chips” degli anni 80. Ce l’aveva messa tutta e in pochi anni si era guadagnato i gradi di tenente. Una volta salito in macchina, come era sua immancabile abitudine, osservò che faccia avessero gli occhi del suo capo.
-          Allora, con chi abbiamo a che fare commissario?-
Al Camussi piacevano questo tipo di domande perché, oltre a mettere in risalto le sue capacità di analisi, gli permettevano di fare un riassunto mentale.
-          Persona intelligente, pignola nei particolari, con una certa cultura, probabilmente raffinato bevitore, direi un solitario “dentro”
-          Un solitario “dentro”? Questa non me l’aveva mai sputata come sentenza! Cosa intende dire?-
-          Che potrebbe apparentemente essere inserito nel contesto sociale che lo circonda ma che  per lui  trattasi solo ed esclusivamente una finzione o forse un gioco.
-          Un pazzo, dunque. Uno spostato.
-          Tenente direi che è uno che non ama le regole degli altri. Probabilmente uno di quelli che si è fatto una cultura da solo, uno venuto dai bassi fondi.
-          Ma come fa a farsi immediatamente un quadro così preciso dei delinquenti?-
-          Osservo, Mario, semplicemente osservo. Ogni persona segna il territorio dove si muove, proprio come gli animali. Lascia tracce, ha abitudini, anche odori. Si comunica in mille modi, basta saper dove e come guardare.-
Il tenente aveva molta ammirazione per Patrizio, da lui aveva imparato tantissime cose. Non lo aveva mai visto fallire nelle sue indagini e il darsi del lei era diventato quasi un vezzo.
-          Vediamo cosa ci dice Sonia, ora!
Disse il commissario scendendo dalla macchina.
L’obitorio era in un edificio molto moderno. Si erano trasferiti lì da poco. Vetri a specchio, porte ad apertura automatica, aria condizionata e quando entrò nello studio della sua amica, Patrizio non ce la fece a tenere la bocca chiusa.
-          Ti tratti bene Sonia, sembra di essere in un hotel quattro stelle!-
-          Peccato che chi arriva qui non se lo possa godere. Solo loculi raffreddati!-
-          D’estate va bene!-
Commentò il tenente, ridendosela.
-          Venite, voglio mostrarvi il corpo, dunque, sì, ecco è il loculo 17-
-          La prima cosa Sonia che voglio chiederti è se il bambino ha subito delle violenze-
-          No, Patrizio, lo escludo categoricamente. Anzi posso dirti che il bambino non si è difeso-
-          Dunque non vedeva come un pericolo la persona davanti a lui, giusto?-
-          Già ,non ci sono lividi, graffi, botte. Niente di niente-
-          Ma come è possibile? E tutti quegli spilla da balia? Non lo ha torturato prima di ucciderlo?-
-          E’ proprio quello che volevo farti notare. La mia opinione è che prima gli abbia infilato, con un colpo solo rapidissimo, il ferro da cucire, tra l’altro reso ancora più affilato da una sottile limatura della punta e solo dopo, una volta morto il bambino, ha “decorato” la scena con gli spilli da balia.-
-          Vuoi  dire che il bambino non ha sofferto?-
-          Chi ha fatto questa cosa ha cercato di far soffrire il meno possibile il bambino. Credo che Mattia non se ne sia nemmeno reso conto-
-          Dottoressa, mi scusi, secondo lei  il tipo ha delle conoscenze mediche specifiche?
Osservò  il tenente.
-          Non posso escluderlo. Certo, io come medico avrei usato altri strumenti, non certo un ferro da cucito.

sabato 1 gennaio 2011

L'inizio del romanzo...

Massimo ricevette un sms sul cellulare. "Alle 20.00 al cimitero di Predappio, ho bisogno di parlarti, puoi?" Si accese la sigaretta e digitò un "ok" in fretta. Era teso, la persona che gli aveva scritto sapeva. Sapeva perché lui glielo aveva confessato. Voleva bene a quell’uomo in quanto lo aveva sempre accettato. Massimo era uno venuto dalla strada, uno di quei tipi che ti mettono paura solo con lo sguardo. Grosso, occhi verdi, fisico palestrato. Il classico bastardo che piace alle donne. Le ore, i minuti non passavano mai. Nessuno gli aveva mai fatto paura, nessuno era in grado di dominarlo tranne la persona con cui doveva incontrarsi. Temeva lo sguardo di colui che l’aveva amato. Il campanile della chiesa vicino al cimitero suonò i rintocchi dovuti; lo fece uno dietro l'altro. Il cielo era intarsiato da nubi grigie dietro alle quali faceva capolino un quarto di luna. Massimo era seduto, come al solito, sulla lapide di marmo chiaro della signora "Vicenzi". Vi ci si stese sopra come su di un morbido letto e incrociò i piedi. Le mani invece dietro alla testa. Solo il bagliore del rosso bruciore del fumo della sigaretta ad illuminare il buio circostante. D'un tratto sentì la grata di ferro pesante muoversi e vide la sagoma di lui, più nera del nero intorno, avvicinarsi. Le mani erano infilate dentro le tasche dell'impermeabile. Con quel cappello in testa sembrò buffo a Massimo. Sorrise pensando fra sé e sé: "sembra un mafioso". Fece un tiro intenso della sigaretta per avere il coraggio di ascoltare. L'uomo gli si fermò davanti. Nella notte si vedeva solo il suo sguardo tagliente come la lama di un rasoio. Massimo, accorgendosi di avere una delle scarpe da tennis slacciata, si chinò annodandone le corde. "Ti prego di non interrompermi" disse lui, in piedi. Massimo si mise seduto, poggiando i gomiti sui jeans sgualciti. Però, quando quell'uomo iniziò a parlare, non riuscì a reggergli lo sguardo. "Mi hai ferito come uomo, mi hai tradito come fratello, mi fai vomitare perché hai approfittato di una persona fragile di mente come Elettra; quando per tutti eri solo merda, quando vivevi nel ghetto io ti ho accolto nella mia casa, ti ho voluto bene. Tu hai fatto l'unica cosa che non avresti mai dovuto fare. L'unica che non posso perdonarti”. Massimo non disse una parola. Lo fissò sbiancando in volto. "Come hai potuto? Proprio tu che mi dicevi di essere leale, sincero, che fino a ieri mi hai detto che se avessi rischiato di morire bruciato in una casa in fiamme, tu, sì tu, solo tu, ti saresti buttato per salvarmi?" L'uomo cominciò a piangere rimanendo immobile davanti a Massimo. "E' successo solo una volta, solo una, giuro, eravamo ubriachi, me ne sono pentito subito" disse lui. "Lo capisci vero? Lo capisci che non posso più amarti come un figlio?" Massimo si alzò, abbracciandolo, mentre quell'uomo rimaneva fermo davanti a lui e gli disse "ti chiedo scusa". "Lei, per me, non è solo una figlia, è indifesa, tu, invece, sei un pezzo di merda dentro, nel dna, potevo perdonarti tutto ma non quello che le hai fatto". Poi, in un lampo, mentre Massimo lo stringeva comportandosi come un figlio col padre, quell'uomo sfilò le mani ricoperte da guanti da cucina dalle tasche dell'impermeabile. Le alzò verso il cielo, illuminando così le lame di due affilatissimi coltelli a mezza luna e li fece ricadere, incrociandoli, sul collo di Massimo tagliandogli la testa di netto. "Figlio mio" gridò in un urlo disperato. Il corpo di lui si accasciò all'indietro bagnando col rosso del sangue i fiori posti sulla lapide; la testa invece finì sull'erba umida. Non poteva perdonarlo. Dopo anni in cui lo aveva aiutato, protetto Massimo aveva approfittato di sua figlia. L'immagine di lui su di lei, il suo provar piacere, il violare di quel corpo, erano cose che non sarebbe più riuscito a togliersi dalla testa. "Padre, padre" In lontananza la voce della figlia. Di nuovo il cancello di ferro pesante scricchiolò aprendosi. "Elettra, fermati lì, sto arrivando. Non muoverti". Il corpo minuto, esile di una piccola donna dal volto bianco come porcellana si muoveva verso di lui. Il passo era debole. La leucemia la stava consumando come i ceri accesi sulle tombe intorno ma la luce nei suoi occhi era il grido dell'infinito. Dal cielo uno sbatter d'ali. Morgan planò dall'alto richiudendo le grosse ali nero pece dietro di sé. "Padre dimmi che non lo hai fatto”. Era molto sudato, aveva percorso parecchie miglia in volo per fermare il corso degli eventi. Ma lo sguardo triste e disperato del Padre lo fulminò. Capì. Prese subito Elettra in braccio mentre lei sveniva per mancanza di forze. Quel piccolo corpo di cera bianca nelle braccia dell'angelo nero. “E’ accaduto. Il peccato si è consumato. Il patto violato fin dentro la carne, nemmeno io so cosa possa accadere a questo punto, ma adesso va, portala al nido". Morgan accese di un blu cobalto i suoi occhi allargando così la pupilla per poter vedere meglio nel buio cupo circostante. Lentamente mosse le sue possenti ali alzandosi con l'eleganza di una farfalla per non svegliare Elettra. Il padre tornò alla tomba dove aveva compiuto "ciò che doveva essere fatto", si chinò a raccoglier la testa di Massimo. Prima di metterla in uno di quei contenitori per gli animali, lo baciò sulla guancia destra e poi su quella sinistra. Portarla via serviva per rendere irriconoscibile il cadavere di un essere umano incensurato. Fece poi una cerimonia a lui cara, quella che su Kriaton si concede agli eroi morti in battaglia. Si alzò da terra contorcendo il corpo fino a poter infilare le mani da dietro la testa in mezzo alle gambe; cantò, nella frequenza degli ultrasuoni, la melodia della fine. Nessun essere umano poteva sentirla. Morgan invece l'udì in volo bagnando così con le sue lacrime la terra di quel pianeta. Oltre a lui solo i cani l'avvertirono e cominciarono ad agitarsi in uno sguaiato ululato alla luna. Poi il padre si lasciò cadere esausto a terra. Aveva disperso molta energia in quel gesto. Chiuse gli occhi e riportò in mente il giorno. Il primo giorno che aveva incontrato Massimo. Nel cortile dell'orfanotrofio c'era il sole di primavera. Molta luce. Il festoso insieme di voci dei bambini nel loro giocare, nel loro correre dietro una palla. La suora che gli veniva incontro. Rivide la scena quasi al rallentatore, sentì contorcersi le budella. Lo rivide bambino. L'aveva notato subito. Era seduto in un angolo sotto una grossa quercia; si copriva gli occhi con le mani. Aveva allargato le dita per spiare quello che accadeva intorno. Il suo sguardo fu come una calamita. Quegli occhi verdi trapassarono l'animo e il pensiero del padre. Era così indifeso, impreparato alla vita, era un fiore nato su un terreno difficile. Il padre lo aveva adottato 13 anni prima, portandolo nel "nido", la sua casa. Adesso lo aveva ucciso. L'esatto contrario di ciò che aveva progettato quando lo portò via. Lo aveva fatto studiare, di giorno con gli umani, di notte con lui e gli altri, insegnandogli tutta la conoscenza accumulata in tanti anni e in tanti mondi dove era stato. Quella notte, dentro il "nido" uno sarebbe mancato alla tavola. La prima volta dopo 13 anni. A fatica si alzò, portò le mani alle tempie e si smaterializzò all'istante, ritrovandosi nella sala delle cene, a casa. Essa era posta al centro del "nido", vi si poteva accedere da tutte le celle. Come al solito, vi erano molto ceri accesi intorno, sulle rocce circostanti. Il vecchio tavolo apparecchiato per 12. Le posate di argento antico facevano capolino dai tovaglioli di seta rosa. Tre bottiglie di cristallo spesso di Boemia piene di vino dal rosso intenso dovuto alla spremitura di forti piedi nei tini d'uva del profondo sud. Vi erano già Morgan, Elettra, Cesare, Agamennone, Suspiria, Gemma e Prometeo. "Figli miei, accomodiamoci". Tutti ubbidirono come accadeva sempre. Il padre si mise a capotavola. Elettra alla sua sinistra e Morgan alla destra. Poi, frettolosamente, arrivò Menelao, bagnato fradicio dall'acqua del mare. "Padre, abbiamo sentito il tuo pianto, raccontaci cosa ti ha ferito così in modo grave". Lui li fissò e disse sotto voce: "C'è un tempo per ogni cosa, a questa tavola manca ancora qualcuno”. Dalla cucina uscì, con le padelle in mano, Cecilia. "Ecco fatto, ma sarebbe ora che qualcun altro mi desse il cambio" Il suo sguardo era orgoglioso, indispettito. La sua bravura in cucina era stata la sua condanna. Il padre aveva assegnato a lei il compito poco nobile di "cuoca" nel nido. Cesare annusò il profumo, chiuse gli occhi e fece un "mmm" molto eloquente. "Chi manca?" Chiese Gemma. "Credo Massimo e Paride" esclamò Suspiria. Finalmente arrivò anche Paride, bello come un dio greco, pieno di allegria. "Salve gente, arrivo dai ghiacci del polo sud, fantastico, semplicemente fantastico lì, che è successo?" Si sedette all'undicesimo posto. Al lato opposto al padre, l'altro capotavola si sedeva sempre Massimo. "Almeno non sono l'ultimo!" esclamò Paride cercando di scatenare una risata. Il padre lo fissò, agghiacciandolo con la serietà della sua espressione. "Massimo non verrà, non verrà mai più". I figli si guardarono increduli e sgomenti. Morgan strinse i pugni sul tavolo. Elettra sembrava assente. Gemma fece un sussulto ed esclamò: "non capisco". Di colpo tutti si azzittirono e girarono lo sguardo al padre. "L'ho ucciso io" disse. Morgan intervenne: "é stato un male necessario, non sono riuscito ad arrivare in tempo per fermare il padre". "Blastar non posso capire" disse Suspiria. L'agitazione e il pianto riempirono la stanza. "Silenzio!" gridò il capo di quella strana famiglia. "Nessuno di voi può soffrire come ho sofferto io, ma Massimo, prima di morire, ha violato il patto. Elettra porta in grembo il frutto di quel peccato. Non avevo scelta". La piccola donna dalla pelle chiara aprì i suoi occhioni e comunicò telepaticamente con i fratelli permettendo loro di visualizzare quello che era accaduto due mesi prima. Per lei era stato un gesto d'amore con l'uomo che aveva scelto. Non si era certo sentita preda di una violazione ed aveva cercato di tenerlo nascosto al padre inserendo delle barriere mentali. Nessuno dei figli, ancora, nemmeno lei erano in grado di contrastarne la potenza ed il controllo mentale. Elettra era riuscita solo a rallentare l'inevitabile. Tutti sapevano che era assolutamente vietato incrociare tra di loro il materiale genetico. Nessuna relazione sessuale. Nessuna storia d'amore. "Brindiamo adesso figli, quando un seme muore genera nuova vita. Alzate il calice in onore mio. In onore di Blastar, il viaggiatore! Che il pianto di oggi sia gioia per l'eternità!" Il padre si alzò e portò il calice a contatto con quello di Morgan e degli altri. Elettra invece restò seduta, ferma come una statua di cera e fissando con gli occhi il bicchiere pieno, lo fece frantumare in mille schegge di vetro. Non aveva nulla per cui festeggiare. Gli altri brindarono e si sedettero di nuovo iniziando a consumare la cena abbondante di carni e verdure. Menelao chiese: "Che ne sarà di colui che inizia nel corpo di Elettra?" Pure Gemma saltò su: "sì, che ne sarà del bambino?" Il padre pose i gomiti sul tavolo e portò le mani davanti alla bocca, baciandole. Poi chiuse gli occhi pensando. Di colpo li riaprì guardando tutti i figli contemporaneamente. "Ciò che è accaduto è talmente sinistro, nessuno da migliaia di anni ha mai violato tale patto e l'incrocio tra un umano e una femmina della costellazione di Orione, quando fu tentato ha sempre generato esseri di una cattiveria brutale". In realtà il padre nascose loro il vero motivo della sua preoccupazione. Elettra si svegliò improvvisamente dal suo torpore e gridò: "Non toccherai il frutto del nostro amore, te lo impedirò”. Blastar si girò distorcendo l'espressione della sua faccia e gridò in un modo da cui non ci si poteva in alcun modo difendere: "zitta, non sai che cosa accadrà adesso, nessuno di noi sarà al sicuro. Se non interveniamo la pagheremo cara.” "Lui era il migliore di noi, mi ha fatto capire l'amore. Che vita, invece ci hai dato tu, padre? Fuggiamo di mondo in mondo nascondendoci come vermi neri di Cutren". Elettra non era riuscita a trattenersi. Questa volta glielo aveva detto in faccia, davanti a tutti. Il padre si alzò nell'aria e la costrinse con la forza del pensiero a tacere. "Io vi ho donato la vita e concesso poteri speciali. Vi ho raccolto nei miei viaggi nelle galassie. Vi ho dato una casa quando eravate soli ed indifesi, quando eravate considerati scarti o peggio sul pianeta in cui ha avuto inizio la vostra vita. Lo pretendo, sì, lo pretendo il rispetto!" Cadde di colpo, risedendosi davanti a tutti e picchiando i pugni sul tavolo così forte a far volare tutto per aria e facendo cadere all'indietro i figli. "Massimo era mio figlio come ognuno di voi ma fin da quando lo accolsi in casa notai che, dentro la sua testa, vi era qualcosa di sbagliato. Lui era l'unico al quale non ho mai concesso un potere speciale". Paride si rialzò e gli disse: "padre noi ti amiamo perché ci vuoi bene, abbracciami" e gli infilò le mani attorno ai fianchi stringendolo a sé. "Paride, Paride, ti ricordi il giorno che ti conobbi? No, tu non puoi ricordartelo". Il padre cominciò a camminare intorno alla tavola mentre tutti erano indaffarati a raccogliere le posate e il cibo da terra. "Paride era dentro una camera iperbarica Tredoriana, aveva una deformazione genetica che comprometteva le sue funzioni biologiche. Doveva essere mantenuto alla temperatura costante di 8 gradi. Una variazione anche solo di un grado sarebbe stata fatale”. Il padre portò le mani dietro la schiena e fissò Suspiria dritto negli occhi: "Ci pensi, tutta la vita dentro un contenitore". Poi si girò ancora verso Paride, addolcendo lo sguardo. "Io, ti ho rapito, ti ho portato sulla mia nave, sulla Medusa e per due anni ho lavorato giorno e notte, quasi senza neanche mangiare, sul tuo codice genetico imperfetto per liberarti da quella maledizione, ma non mi sono fermato lì, ho attinto a tutte le conoscenze dei miei avi accumulate nei loro viaggi facendo in modo che oggi tu sia quello che sei. Grazie al mio intervento sei in grado di sopravvivere anche alla temperatura dello zero assoluto, i meno 273,15 gradi, la temperatura più bassa dell'universo”. Gemma appoggiò la testa sul petto di Menelao, cercando di rilassarsi. Intuiva che stava tornando la calma. Si sedette al suo posto anche il padre dicendo in modo molto sconfortato e mostrando così tutto il suo senso di sconfitta interiore: "Solo con Elettra non sono ancora riuscito a trovare una cura, quella sua maledetta forma di leucemia è qualcosa di sconosciuto. Nemmeno su questo pianeta ho trovato il rimedio definitivo. Riesco a tenerla in vita ma non a guarirla". Dopo quello sfogo, in un silenzio quasi mistico consumarono la cena. Poi tutti seguirono il padre nella cella della preghiera.